Scambio con i campi profughi di Burj al Shemali e Beddawi
con un progetto di ricaduta territoriale
12 agosto - 2 settembre 2013
SECONDO AGGIORNAMENTO - 29 agosto 2012
Cara "famiglia Prima Materia", a 4 giorni dal rientro in Italia e dopo 18 giorni
di "vita libanese", è straordinario riflettere su quanto cambia il senso di tutto. Questo periodo così teso, così incerto, pieno di cambiamenti di piani e aggiustamenti dei programmi progettati, una volta superato il senso di impotenza e paura, porta in primo piano delle qualità di umanità, di solidarietà e di generosità difficilmente imaginabili da chi sta lontano. Non posso raccontarvi molto del gruppo dello scambio, perchè il mio programma di musicoterapia non mi ha concesso che pochi giorni di compagnia ai ragazzi nostri e il team di educatori, o 'mamme, babbi, zii e nonni sostitutivi', come sono stati
definiti dalle famiglie in Italia; posso solo dire che tutte le volte che mi è capitato di stare con loro, ho sentito l'immenso potere del 'gruppo' di sostenersi, riuscendo sempre a elaborare gli eventi imprevedibili con sensibilità e anche un sanissimo "sense of humor", senza mai perdere quella curiosità di comprendere meglio la vita di chi abita in questo paese.
Io sono stata quasi sempre a Beirut, fermata in tutti i tentativi di raggiungere il nord per continuare il lavoro nelle cliniche di Beddawi e Nahr El Bared. Neanche è stato possibile per gli assistenti sociali raggiungere Beirut per la formazione, quindi con grande tristezza abbiamo sospeso lo sviluppo della musicoterapia in questi 2 centri, da riprendere a distanza e, sperando che la situazione si calmi, in situ quando ritornero' a gennaio 2014. E' stato invece possibile raggiungere la clinica di Saida e quella di Elbus a Tiro, dove il progetto sta crescendo bene, come a Beirut.
Le sfide sono tante; poche risorse economiche, scarse risorse umane rispetto alla richiesta di trattamenti, con lunghe liste di attesa aumentate dai tanti profughi della Siria la cui disperazione richiede una risposta immediata. Ma la resilienza degli operatori, supportati dalla lunga esperienza di Assumoud, garantisce una costanza e una serietà che travolgono. E' davvero una scuola lavorare qui accanto a loro - è un'onore.
Certo noi leggiamo che gli sciiti e i sunniti si odiano. Che la bomba a Beirut il 15 di agosto prendeva di mira la comunità sciita, mentre le 2 bombe a Tripoli il 23 erano diretti a quella sunnita. Il nostro amico psicologo Mohammad, che vive vicinissimo al luogo della bomba di Beirut, mi raccontava che, appena giunta la notizia degli attentati a Tripoli, l'ospedale vicino a lui si affollava di gente - sciita - che donava sangue per le vittime di Tripoli. Per la gente comune, l'odio non conta. Conta la vita.
Così, lunedì, discutendo con il gruppo di 'studenti' di musicoterapia a Beirut, giunti da Saida e Tiro nonostante i consigli di mettersi in viaggio solo se strettamente necessario, Liliane ha spiegato: "Chi butta le bombe vuole che anche chi non muore si senta comunque privo di vita, e invece noi siamo qui, rivendicando il nostro diritto alla nostra vita. Noi rispondiamo con il coraggio di continuare, altrimenti hanno vinto loro."
E anche il direttore generale di Assumoud, Mr Kassem, mi ha spiegato che per le fazioni estremiste, la sua organizzazione rappresenta una grande minaccia, quella di educare la gente a pensare, a sentire l'umanità e a volerla tutelare contro le conseguenze della frustrazione e la rabbia sfrenata. Sereno, sorridente, mi dice "noi siamo tranquilli, continuiamo il nostro lavoro, sappiamo che è l'unica via per trovare una soluzione ai problemi."
Il modo in cui Assumoud si prende cura di noi, e dei tantissimi operatori dall'estero che sono qui - solo in questa settimana ho incontrato delegazioni dal Giappone, dalla Francia, e dalla Germania, tutti coinvolti in progettt simili al nostro - fa capire l'estrema cautela, la saggezza di sapere contenere il rischio. 'Stare a casa, sano e salvo' per il gruppo dello scambio ha voluto dire rimanere più tempo nel campo di Burj Al Shemali, spostandosi solo oggi per raggiungere un'altra 'casa sicura' nel campo di Mar Elias a Beirut. Io invece oggi mi sono spostata a Tiro - ci siamo incrociati in qualche punto della strada! Dopo una giornata di riunioni con l'equipe di salute mentale, sono al riparo nella casa di Olga (Ulaia), gustandomi la calma della serata.
'Casa' non è un posto - è sentire un'appartenenza, un affetto, un senso condiviso della vita.
Un abbraccio, pensando con piacere al prossimo
ritorno nella 'casa' di Prima Materia,
Deborah
PRIMO AGGIORNAMENTO - 20 agosto 2012
Ecco un breve resoconto della prima settimana della nostra esperienza qui in Libano. Nella prima parte Deborah racconta del suo percorso come formatrice di musicoterapisti palestinesi, mentre nella seconda vi raccontiamo dello scambio musicale con i bambini palestinesi del campo profughi di Burj Al Shemali.
Buona lettura!
Cari tutti!
in risposta alla richiesta di alcuni di voi di scrivervi durante questa sosta in Libano come avevo fatto l'anno scorso, eccomi da Beirut alla fine della prima settimana di permanenza.
Inevitabile il confronto con la permanenza dell'estate scorsa, che fa emergere le tante cose che sono cambiate, ma anche la costanza di molti elementi. Una grande differenza per me è la presenza del nostro meraviglioso gruppo di ragazzi insieme ai 5 responsabili, Rebecca, Dario, Henry e le 2 Valentine, ormai distinte con i nomignoli 'Vale' e 'nTina'. Mentre io sono basata a Beirut, per continuare la formazione in musicoterapia, loro sono nel sud del paese a Tiro, nel campo di Burj Al Shemali. Ho potuto raggiungerli per 3 giorni per il lavoro clinico nel centro di salute mentale nel campo di Elbus, che è a 2 kilometri da Burj A Shemali. Lascio a loro raccontarvi la loro 'storia', vi dico solo che è un gruppo eccezionale, con uno spirito di resilienza e adattamento veramente commuovente, e che stanno facendo un'esperienza indimenticabile, a contatto con gli abitanti del campo, con i loro coetanei palestinesi e con la nuova comunità di profughi siriani. Sia il loro lavoro che il mio testimoniano ancora una volta il potere straordinario della musica di tendersi e toccare, di creare legami e comprensione senza le parole.
Nel progetto di musicoterapia è evidente il fatto che ormai c'è una piccola storia, lunga 14 mesi, di formazione, lavoro clinico e supervisione. Il gruppo quest'anno parte già da un terreno conosciuto e la grande sfida è come continuare, con inevitabili cambiamenti di alcuni degli operatori palestinesi (qui la vita si caratterizza da una forte imprevedibilità), difficoltà nell'ambito delle cliniche (il turn-over degli specialisti libanesi nelle equipe mediche è velocissimo, a causa del fatto che il nostro partner palestinese Assumoud non dispone dei fondi necessari per pagarli bene, quindi qualsiasi altra offerta di lavoro risulta più appetibile), mancanza di fondi sicuri per il progetto stesso. A fronte di questi fattori scoraggianti, rimango stupefatta dalla serietà e la dedizione con cui si applicano alla formazione e il prosieguo clinico. C'è tantissimo da fare; ormai tutti gli specialisti hanno costatato nel corso dell'anno scorso l'efficacia della musicoterapia e la velocità dei cambiamenti positivi nel contesto di una grande varietà di patologie. Sono molto curiosi, e devo inserire nel fitto programma di queste settimane anche degli incontri con loro per dargli più informazioni. In alcuni casi sento anche una resistenza motivata dalla paura per una disciplina nuova che sembra essere più utile delle loro competenze (logopedia, psicomotricità, ecc). Credo in realtà che ci sia posto e bisogno per tutte queste metodologie; ma non posso ignorare la mancanza di fondi sufficienti per sostenerle tutte.
Il cambiamento più evidente nelle strade giorno per giorno è la ormai immensa presenza di profughi dalla Siria; Mohammad, lo psicologo palestinese che era ospite di Prima Materia a giugno, mi dice che sono diventati un terzo della popolazione del paese, più di 2 milioni di famiglie, individui e orfani dislocati, disorientati, arrivati senza null'altro che un'eredità di trauma e perdita. Come nel '48 e nel '67 il Libano ha lasciato le sue frontiere aperte, ma ormai è oltre il limite di sopportazione …
La sopportazione richiede un'energia in più, una pazienza infinita e la capacità comunque di trovare un senso in tutto questo, la speranza di qualcosa di meglio. Nei momenti di dubbio prevale la semplice umanità, fatta anche della capacità di sorridere e ridere per ricordarsi di festeggiare la vita.
È una buona lezione.
Un abbraccio a tutti,
Deborah
Lo scambio qui nel campo profughi di Burj Al Shemali è entrato nel vivo dell'esperienza: la musica si fonde e si confonde con i momenti di scoperta e di avvicinamento ad un contesto che per molti di noi è del tutto nuovo.
Abbiamo incontrato le famiglie di profughi dalla Siria che vivono nelle stanze ricavate all'interno di edifici ancora in costruzione o allestiti come abitazioni d'emergenza all'interno del campo già affollato di profughi; ci hanno ospitati ed accolti nonostante la loro condizione. Abbiamo incontrato gli anziani, profughi del 1948, che ci hanno raccontato i loro ricordi della Palestina e cantato le loro canzoni con commozione. Abbiamo parlato con i negozianti, che vendono le loro merci per ricavarci appena quel che basta per sostenere la loro famiglia e scoperto i vicoli stretti del campo profughi guidati dai bambini che condividono con noi la musica ogni giorno: ci hanno ospitati nelle loro case ed offerto il tè e la coca-cola, portati sui tetti per vedere dall'alto lo spazio ristretto e denso di edifici, coi campi incolti appena fuori.
La musica ci sta accompagnando e legando sempre di più: siamo partiti senza sapere bene cosa aspettarci e ci siamo trovati a fare da insegnanti a bambini che stanno scoprendo da poco i loro strumenti, riuscendo comunque a creare un'orchestra di 50 elementi che spazia tra le musiche arabe, da banda ed i pezzi ballabili. La dabka, la danza tradizionale palestinese, ci mette spalla a spalla in un vortice di saltelli e ritmi incalzanti.
Noi del gruppo italiano abbiamo già suonato per un pubblico molto speciale: le famiglie siriane del campo, ed abbiamo assistito ad uno spettacolo di teatro che gli stessi ragazzi siriani hanno costruito in meno di quattro giorni mostrando in pochi minuti tutte le atrocità della guerra. La musica poi ha riempito tutto il teatro della piccola biblioteca del campo di sorrisi e mani che applaudivano a tempo: il più bel traguardo per noi.
Domanici sarà l'ultimo evento, in cui suoneremo tutti insieme, prima di salutare i nostri amici di Burj Al Shemali e dirigerci verso il nord, il campo di Beddawi che si trova poco fuori da Tripoli. Una nuova esperienza che ci riempie l'attesa di domande e di curiosità.
Un abbraccio da tutti noi!
Margherita, Camilo, Virginia, Rossana, Laura, Lisa, Emma, Anna, Clelia, Walter, Cosimo, Paquito, Elia, Silvia, Maria Teresa, Vale, nTina, Rebecca, Dario ed Henry!
Nel mese di agosto 2013 venti studenti di musica di Prima Materia si recheranno in Libano per 3 settimane per fare musica insieme ai giovani palestinesi residenti nei campi profughi del Paese.
Lo scambio costituisce una delle azioni di un progetto più ampio, “Music and Resilience”, che si sviluppa a partire dal 2011 tra l'Italia e il Libano, nato e sostenuto da un largo paternariato: l'Ong palestinese/libanese National Institute for Social Care and Vocational Training “Beit Atfal Assomoud”, Ulaia Artesud Onlus (Roma), Associazione per la Pace di Mola di Bari, Comune di Mola di Bari, Regione Puglia, Associazione Prima Materia (Montespertoli).
Questi sono gli obiettivi dello scambio:
- rinforzare l'attività musicale strumentale per i giovani palestinesi (iniziata nel luglio 2012 attraverso un campo estivo effettuato da insegnanti di Prima Materia e continuato da operatori palestinesi locali);
- contrastare l'isolamento dei giovani palestinesi dei campi profughi, ai quali è negata la possibilità di uscire dal Libano (nel 2011 l'ambasciata italiana di Beirut ha negato i visti a 'Guirab', un gruppo di cornamuse dal campo di Burj El Shemali, invitati da Prima Materia a Montespertoli);
- dare opportunità ai giovani italiani di fare esperienza diretta della vita nei campi profughi, di conoscere i coetanei palestinesi e condividere gli studi musicali con loro;
- investire gli studenti italiani del ruolo di "ambasciatori", con l'incarico, al ritorno dal viaggio, di raccontare le condizioni di vita della diaspora palestinese nel Libano.
Per raggiungere il 4° obiettivo, oltre al programma musicale da condividere con gli studenti palestinesi, gli studenti italiani seguiranno un percorso di raccolta di documentazione durante lo scambio e di riflessione e presentazione dei materiali al ritorno in Italia, dando forma ad un “reportage” attraverso le parole, le musiche, le fotografie e i filmati.
L'obiettivo del progetto “Vi racconteremo dei Palestinesi in Libano...” è la divulgazione di questo reportage nei comuni del territorio, sia alla cittadinanza in generale (incontri nelle biblioteche, nei musei) che specificamente alla popolazione giovanile (incontri nelle scuole).